La Cassazione ha precisato che l’articolo 1 del D.lgs, n,368 del 2001 impone al datore di lavoro l’onere di indicare nel contratto in modo circostanziato e puntuale le ragioni che giustificano il ricorso al rapporto a tempo determinato, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto. Occorre quindi l’indicazione delle circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato.
Occorre quindi l’indicazione delle circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro la prestazione a tempo determinato in modo da far emergere la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare. Anche al fine di consentire la verifica sulla utilizzazione del lavoratore esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. E’ poi da escludere l’eccepita violazione del principio secondo cui la specificazione pu risultare anche da altri atti purchè richiamati nel contratto. La sentenza della Corte d’Appello, a cui competeva l’interpretazione del contratto, ha chiarito che neppure le delibere del Consiglio di Amministrazione attribuivano concretezza alla previsione.
La sentenza della Cassazione n. 14840 del 10 maggio 2022 contiene alcune importanti affermazioni sulla materia del contratto a tempo determinato che meritano
senza dubbio una particolare attenzione. In sintesi viene ribadito l’onere a carico del datore di lavoro di specificare chiaramente quale è la causale che giustifica l’apposizione del termine nel contratto di lavoro.
La vicenda ha origine dal ricorso di una dipendente della Fondazione Teatro Nuovo Giovanni da Udine che aveva eccepito la nullità delle clausole di durata apposte a tre contratti a tempo determinato stipulati a distanza di circa sei mesi uno dall’altro. Il Tribunale di Udine ha accolto il ricorso della lavoratrice e la Corte d’Appello di Trieste ha confermato tale decisione. E’ stata riconosciuta l’instaurazione tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e la Fondazione è stata condannata anche al pagamento di una indennità risarcitoria pari a cinque mensilità. La Corte aveva anche ritenuto illegittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogato e disposto la reintegrazione della lavoratrice.
La Corte d’Appello ha ritenuto che le clausole appositive del termine fossero prive della necessaria specifica indicazione della causale, in quanto erano state utilizzate espressioni generiche, che facevano riferimento a non meglio precisate esigenze straordinarie connesse alle stagioni teatrali e non consentivano, quindi, diverificare l’effettiva sussistenza di ragioni temporanee idonee a giustificare il ricorso al contratto a tempo determinato.
Quanto al licenziamento la Corte ha escluso che la Fondazione avesse provato la dichiarata riorganizzazione aziendale e la soppressione del posto, rilevando anche come non fosse comprensibile che un lavoratore a termine, quindi transeunte nell’organizzazione aziendale, fosse titolare di un posto ben individuato e possibile di soppressione.
La Fondazione ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo, tra l’altro, che la causale del contratto a termine pu anche risultare indirettamente, attraverso un rinvio per relationem ad altri atti. Le ragioni per le quali era giustificato il ricorso al contratto a tempo determinato risultavano specificate nelle delibere del Consiglio di Amministrazione richiamate nei contratti.
Il ricorso è stato respinto.