GIOVANNI MAGLIARO
Secondo la Cassazione qualora il lavoratore impugni il licenziamento allegandone l’intimazione senza l’osservanza della forma scritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti. Nella fattispecie la Corte di merito ha ritenuto provata l’intimazione del datore di lavoro alla dipendente di non presentarsi più al lavoro.
Il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace e come tale inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro, non rilevando ai fini di escludere la continuità del rapporto stesso né la qualità di imprenditore del datore di lavoro né il tipo di regime causale applicabile (reale od obbligatorio).
Circa gli elementi sintomatici della subordinazione la Cassazione approva la decisione della Corte d’Appello che, con riferimento alle mansioni elementari e standardizzate espletate dalla lavoratrice, ha fatto ricorso a criteri distintivi sussidiari quali la continuità del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro e il potere di autorganizzazione del prestatore per dichiarare la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
Con l’ordinanza n. 16013 del 18 maggio 2022 la Cassazione riafferma alcuni importanti principi in materia di natura subordinata del rapporto di lavoro e di inefficacia del licenziamento intimato dal datore di lavoro a voce e non nella forma scritta. In particolare la Suprema Corte ribadisce che il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace, per
inosservanza dell’onere della forma scritta imposto dall’articolo 2 della legge 15 luglio 1966, n.604, e ,come tale, è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro. Ne consegue che trova applicazione l’ordinario regime risarcitorio con obbligo di corrispondere le retribuzioni non percepite a causa dell’inadempimento datoriale.
Una lavoratrice dipendente della casa di riposo per anziani Villa Agata di Catania ha proposto ricorso chiedendo l’accertamento della esistenza di un rapporto di lavoro e l’inefficacia del licenziamento intimatole oralmente, con condanna della datrice di lavoro al risarcimento dei danni. Il Tribunale di Catania ha respinto il ricorso ma la Corte d’Appello della stessa città ha dichiarato inefficace il licenziamento e ha condannato la titolare della casa di riposo al pagamento delle retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso alla data di pronunzia della sentenza oltre al pagamento delle dovute differenze retributive.
La Corte d’Appello riconosceva anzitutto la natura subordinata del rapporto rilevando che in ragione del carattere elementare, ripetitivo e predeterminato delle mansioni svolte dalla ricorrente (assistenza notturna degli anziani, pulizia degli stessi e dei locali, stiratura degli indumenti) non era rilevante l’accertamento del potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro quanto l’accertamento della continuità della prestazione e l’esistenza di una retribuzione con cadenza periodica e continuativa. Quanto al licenziamento orale, rilevato che la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, ne riteneva l’esistenza sulla base della prova testimoniale.
Avverso la sentenza la titolare della casa di riposo ha proposto ricorso per Cassazione sostenendo che non era provata la natura subordinata del rapporto e che non vi fosse prova dell’avvenuta intimazione in forma orale del licenziamento. Inoltre ha anche sostenuto che fosse errata la determinazione del risarcimento commisurato alle retribuzioni maturate.
La Cassazione ha respinto il ricorso confermando la sentenza della Corte d’Appello di Catania e condannando la datrice di lavoro al pagamento delle spese legali.